Una settimana piena... piena di incontri con animali, foto e buonumore, grazie alla simpatia dei partecipanti. Parlo della visita a Särna dell'AFNI sezione Marche – o quantomeno di una parte di essa – a inizio giugno, di cui potete vedere qualche foto ricordo nell'Album di Famiglia. Ecco una selezione di scatti che hanno voluto gentilmente condividere su queste pagine, e per i quali li ringrazio. Cominciamo con qualche paesaggio. E finiamo con un po' di fauna.
Qualche giorno fa nella foresta allagata di Göljån: impronte di lince, non più vecchie di qualche ora. La circostanza mi porge il destro per raccontare un quasi-incontro ravvicinato col gattone in questione, qualche anno fa, nello stesso identico sito. Ero là per fotografare un merlo acquaiolo che frequentava uno dei ruscelli che attraversano il bosco devastato dalla grande alluvione del 1997; proprio quello che appare, ghiacciato, nella foto accanto, tra l'altro. Per arrivarci, dal parcheggio sud si passa su una passerella di legno. Mi ero fermato ad una ventina di metri da questa, chino sul teleobiettivo e concentrato sul merlo che andava e veniva su un tronco abbattuto poco distante. Dopo solo una decina di minuti smontavo e tornavo verso l'auto: sulla passerella, ben chiara sul legno asciutto, si stagliava una pista freschissima di orme bagnate di lince, prima inesistenti. Per farla breve, una lince era passata dietro la mia schiena a 20 metri di distanza e in piena vista, mentre io ero intensamente occupato a fissare... il lato opposto. Da allora, inevitabilmente, ogni volta che ripenso all'accaduto mi torna in mente, e con un sorriso amaro, un celebre spot di qualche anno fa, che vi propongo qui sotto. Sono tornato una volta ancora al sito chiamato Fulufallen, nei pressi del Parco Nazionale Fulufjället, dove un torrente forma, lungo una distanza di mezzo chilometro, una decina di cascate incastonate nella foresta per un dislivello totale di 80 metri. E' un posto perfetto per fotografare l'acqua con tempi lunghi giovandosi dei riflessi degli alberi, soprattutto in autunno.
Trovato un salto d'acqua adatto e impostato un tempo di 1/8 di secondo, ero pronto a fare le mie solite cose quando il passaggio di una nuvola candida ha acceso la superficie dell'acqua con un ventaglio di pennellate bianche. Quel minimo di flessibilità mentale che ancora resiste strenuamente abbarbicata in qualche recondito anfratto del mio cervello stanco mi ha fatto cambiare idea al volo, e sono passato da 1/8 a 1/80, per preservare l'individualità di quei drappi luminosi, che si sarebbero altrimenti dissolti l'uno nell'altro con la sovrapposizione del tempo lungo. La struttura che ne risulta regge da sola l'intera composizione dell'immagine (cliccate sulla foto per ingrandirla ulteriormente). La foresta è un oceano verde. E come fasciame di relitti spiaggiati,
tra risacche di mirtillo e ondate di felci, stanno gli alberi morti. Molteplici sono le ragioni per cui il Fulufjället è diventato un parco nazionale, dieci anni fa. Ospita la più alta cascata svedese, sulla quale nidifica la più meridionale coppia di girfalchi in Scandinavia (il più grande e raro falco del mondo); la sua formazione risale a 900 milioni di anni fa, e non deriva dalle glaciazioni recenti; su di esso si trova l'albero più vecchio del mondo (quasi 10.000 anni) che è, di conseguenza, anche l'essere vivente individuale più vecchio del pianeta. Per finire, non meno importante, il grande altipiano (34x15 km a 1.000 metri di altitudine) che ne occupa la sommità è l'unica area montana svedese a non essere pascolo per renne da secoli; il risultato è una copertura vegetale vergine e naturale, unica per varietà di specie: cespugli, vegetazione erbacea e tappeti di bianco lichene delle renne a perdita d'occhio. E qui chiudo lo spot. Mi sono confrontato con questo ambiente in un tardo pomeriggio di luce spenta, del tutto inadeguata sia ai cuscini di lichene che ai mirtilli autunnali che li trapuntavano. Con un breve soprassalto di pensiero laterale, mi sono detto, allora “Perché, banalmente, non usare un flash?”. Naturalmente localizzato sull'area che volevo evidenziare, lasciando il resto del paesaggio alla sua luce senza vigore. Sono salito alla torre di osservazione “Erik-Knutsåsen”, presso Gördalen, lungo i confini settentrionali del parco nazionale Fulufjället. È un bel punto di vista su una regione selvaggia coperta da una rada foresta d’altura con abeti e betulle, rilievi ondulati intervallati da paludi e piccoli stagni. Arrivato in cima, noto sulla piattaforma dei piccoli grumi di materiale, che ad un’occhiata più attenta si rivelano borre di rapace notturno. Alzo lo sguardo: ad una ventina di metri incrocio quello magnetico di un’ulula, che evidentemente ha anch’essa scelto di sfruttare le caratteristiche panoramiche della torre. Un magnifico incontro, inaspettato e non frequente. Non si può essere sempre preparati a qualsiasi evenienza fotografica, ed ero salito sulla torre con un corredo corto da paesaggio: questa immagine è quindi un generoso crop, che, tuttavia, riflette lo spirito della composizione originale, in cui l’animale (per scelta, per forza o per entrambe le cose) è ambientato nel paesaggio. Il genere di foto agli animali che preferisco. Non sono passati più di due mesi e mezzo da quando ho visto queste piccole felci, Gymnocarpium dryopteris, dispiegare le proprie foglie come petali di fiori, di un verde così tenero da essere quasi impossibile da rappresentare in foto; come ali di farfalle appena schiuse che si gonfiassero all'aria, posate a migliaia sotto lo sguardo protettivo di pini e betulle, a disegnare un tappeto vivente che pareva brulicare nonostante fosse fermo, o, al limite, appena mosso da una bava di vento di foresta. Ora, dodici settimane dopo – il tempo che in altre specie può essere quello di una gestazione, non di una vita – eccole cedere, rattrappirsi, imbrunire, staccare nei toni dalla coltre di sfagno che è cresciuto dopo di loro, e sotto di loro; lui sì, ancora verde, come se dal basso ne risucchiasse il colore, e con esso la forza vitale. L'autunno arriva presto nel Nord, e con quale montagna di banalità potrei inzaccherare questo spazio su un tale argomento, ve lo lascio solo immaginare; e mi astengo dal farlo. Parasoll mossa è il suo nome svedese, e una volta stabilito che mossa sta per “muschio”, direi che parasoll si spiega da sé, considerata la forma. Il muschio Splachnum luteum cresce nelle foreste umide boreali, producendo in estate questa struttura larga poco più di un centimetro. Il suo nome inglese, che tradotto suona come “muschio giallo degli escrementi di alce”, la dice lunga sul suo substrato preferito (de gustibus non disputandum est, dicevano i Romani, e come dar loro torto?). Per semplicità l'ho sempre indicato come “fiore”, quando mi è capitato di incontrarlo in compagnia di amici o visitatori, ma di un fiore non si tratta. Essendo la pianta un muschio (uno sfagno, per la precisione) queste monetine dall'aria vagamente mammaria sono in realtà sporangi, organi che contengono le spore riproduttive nei funghi, muschi e felci. In genere di forme e colori dimessi e minuti, in questo sfagno assumono un aspetto decisamente floreale... Un caso? Le coincidenze sono merce estremamente rara in Natura, dove ogni cosa ha una precisa ragione di esistere. Lo sfagno a ombrello – come lo battezzo qui al volo, mancando la specie di un nome comune italiano – sfrutta la presenza di insetti per diffondersi, e ha quindi bisogno di un richiamo vistoso ed irresistibile affinché questi si posino su di esso, per poi ripartire con le spore appiccicate al corpo. Esattamente come accade coi fiori veri, le api, il polline ecc.: si parla di evoluzione parallela, quando organismi diversi evolvono strutture simili per compiere identiche funzioni. Dove il germoglio di pino ha fatto da schermo, si è accumulata la neve spostata dal vento teso e gelido degli ultimi giorni. Ai lati di quello che, forse, sarà un giorno un'altra goccia nell'oceano della foresta, si aprono minuscole dune, la cui superficie non è semplice neve, ma una crosta ghiacciata e opaca, modellata dal vento e satinata dall'erosione delle particelle di neve soffiate ad alta velocità. La materia così formata riflette la luce in modo morbido e peculiare, con un effetto finale del tutto simile a quello di un velo di raso. E' stato un buon inizio di marzo. Proprio la sera del primo del mese l'aurora boreale si è fatta vedere a Särna, la prima vera aurora da quando viviamo qui (quasi 4 anni). No, non la vedrete in queste Cronache: ci sono momenti in cui devi semplicemente "essere", devi goderti il momento senza pensare ad "avere", a fotografarlo (potete comunque vederla in un time lapse a questo link: l'aurora è esattamente quella, solo la località diversa). Mentre ero ad occhi in su, una Civetta capogrosso ha cominciato a cantare. Cosa chiedere di più? Nei giorni successivi il tempo è stato mite, addirittura con temperature al di sopra dello zero: marzo è pazzerello anche a questa latitudine, e, a dispetto del clima piacevole, per un paio di giorni ha imperversato un vento fortissimo, che ha regalato alla montagna sapori di tempesta nel deserto.
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Tutti i contenuti del sito: © Vitantonio Dell'Orto, tutti i diritti riservati Vivo in Svezia, a Särna (Dalarna). Le Cronache sono un diario per immagini della natura (ma non solo) della zona e di tutte le aree scandinave che visito nel mio lavoro fotografico.
Il mio libro: "La mia Svezia - Storie di un fotografo italiano al Nord" è disponibile presso l'editore.
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October 2018
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